Il condominio è un ente di gestione che si costituisce senza alcuna formalità immediatamente dopo la costruzione dell’ edificio e la vendita anche di uno solo degli appartamenti di proprietà esclusiva.

Un condominio, come detto, comincia ad esistere giuridicamente nel momento in cui un edificio, di proprietà di un unico proprietario, viene frazionato mediante atti pubblici; quando cioè una proprietà individuale diviene plurima, con il trasferimento di ciascuna singola unita’ immobiliare a soggetti diversi. Restano però in comunione pro indiviso tutte quelle parti dell’edificio che per ubicazione e struttura funzionale, sono destinate a soddisfare esigenze generali e primarie del condominio stesso.

Il condominio dunque si costituisce allorché due o più soggetti proprietari di due o più unita’ immobiliari di uno stesso edificio, esercitano il loro diritto sia sulle parti comuni che sulle proprie in modo proporzionale al valore delle rispettive proprietà.

La proprietà può essere per piano o porzione di piano in senso non solo verticale ma anche orizzontale o per singola unita’ immobiliare con parti necessariamente comuni perché contenenti accessori indivisibili per natura o destinazione.

Il condominio, a differenza della comunione, e’ caratterizzato dall’esistenza di una proprietà immobiliare divisa, e può definirsi un "ente di gestione" che, sprovvisto di personalità giuridica e senza autonomia patrimoniale opera per la conservazione delle parti comuni dell’edificio e della funzionalità dei servizi nell’interesse comune di tutti i partecipanti, pur senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino.

Comunione e Condomino

L’istituto del Condominio, non previsto dal vecchio codice civile del 1865, è stato regolato dall’attuale codice che risale al lontano 1942. Il legislatore non poteva lontanamente prevedere quale evoluzione avrebbe avuto nel corso degli anni il fenomeno condominio sotto l’impulso non solo di nuove tecnologie (antenne centralizzate, cancelli automatici ecc.) ma soprattutto di nuove normative e Leggi speciali.

Si è così assistito ad una notevole produzione di sentenze dei vari Tribunali e della Suprema Corte di Cassazione che spesso non hanno potuto risolvere l’enorme casistica di problematiche che assillano quotidianamente condomini ed amministratori.

Il Condominio trae la sua origine dall’ istituto della comunione alla quale è intimamente legato. L a differenza giuridica tra i due istituti è molto sottile.

La Comunione si ha quando più persone hanno in comune la proprietà su un bene mobile o su un immobile ed ogni comunista (così si chiamano i partecipanti) è proprietario per l ‘intero del bene in comunione. Ad esempio un fabbricato in comunione è posseduto per intero da tutti i partecipanti alla comunione a prescindere dal fatto che sia diviso o meno in appartamenti.

Il Condominio invece si forma quando il costruttore vendendo la prima unità immobiliare fa si che in uno stesso edificio i beni di proprietà esclusiva coesistono con la comproprietà rappresentata dalle cosiddette "parti comuni", le quali servono tutti o una parte dei condomini.

 

Nel condominio confluiscono due diritti: un diritto di proprietà esclusiva e uno di proprietà di comunione forzosa e necessaria finalizzata alla conservazione ed alla manutenzione di quelle parti comuni, che, in quanto pertinenza del condominio, non possono essere divise.

Nella comunione ogni partecipante ha un solo diritto: quello sulla totale proprietà comune indivisa. Gli articoli che regolano la comunione vanno da 1100 al 1116 c. c.

In definitiva il condominio costituisce un aspetto particolare della comunione, e ad esso si applicano tutte le norme degli articoli 1117/1139 del codice civile, ed in alcuni casi le norme generali sulla comunione.

La comunione si distingue in base all’oggetto.

Comunione pro diviso: quando la comunione cade su un bene del quale ciascun comunista ha in esclusivo godimento una porzione;

Comunione pro indiviso: quando la comunione interessa un bene unico e ciascun comunista la possiede per intero insieme agli altri.

Parti comuni

Il condominio é l’insieme delle parti di un edificio che sono di proprietà comune a più condomini.

Una esatta identificazione delle parti comuni è contenuta nell’articolo 1117 del codice civile.

Le parti comuni si possono classificare in tre distinte categorie, suddivise in necessarieperché costituiscono la struttura stessa dell’edificio, di pertinenza, perché comprende tutti i locali destinati ai servizi comuni, ed infine accessorie in quanto comprende le opere, le installazioni ed i manufatti che servono all’uso ed al godimento comune.

1117. Parti comuni dell’edificio

Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo:

1) il suolo su cui sorge l’ edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d’ ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie alluso comune;

2) i locali per la portineria e l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune;

3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono alluso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Scendendo nei dettagli si nota infatti che alla prima categoria appartengono quei beni ed in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune e che per la loro natura vengono normalmente utilizzati da tutti; il loro uso esclusivo o la loro modifica necessita dell’assenso di tutti gli interessati:

  • il suolo:

è il terreno su cui sorge l’edificio;

  • le fondazioni:

sono le opere che servono a garantire la stabilità dell’edificio;

  • i muri maestri:

costituiscono la struttura stessa dell’edificio, formano parte integrante dei pilastri e comprendono tutto quanto contribuisce al decoro architettonico dell’edificio; costituendo una comunione pro indiviso nulla impedirebbe ai condomini di utilizzarli per le proprie esigenze nella parte corrispondente al piano di sua proprietà, sempre che non sussistano convenzioni speciali e che l’utilizzo non urti con i divieti posti dagli articoli 1102, 1120 e 1122 e cioè:

  • che non sia alterata la cosa comune;
  • che non sia impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto
  • che non sia pregiudicato il decoro, l’estetica e la stabilità dell’edificio.

Vengono considerati come muri maestri comuni a tutti i condomini anche i pilastri, le colonne e le arcate che formano i portici.

Sono invece di proprietà esclusiva i muri di tramezzo, per cui il singolo condomino potrebbe rimuoverli, spostarli o modificarli senza il consenso degli altri condomini

  • il tetto:

opera destinate a proteggere l’edificio dagli agenti atmosferici, costituita da struttura inclinata di travi, ricoperte da tegole;

  • i lastrici solari:

sono coperture calpestabili piane e secondo il titolo possono essere di proprietà esclusiva o di proprietà comune; se invece costituiscono il prolungamento ideale di unità immobiliari di proprietà esclusiva, si chiamano terrazze a livello;

  • le scale:

sono comuni a quei condomini che possono potenzialmente utilizzarle;

  • i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi:

servono di norma per accedere alle proprietà esclusive, ma possono creare difficoltà interpretative a seconda del tipo di edificio;

  • i portici:

sono dei marciapiedi coperti, delimitati da un lato da pilastri e dall’altro muri dell’edificio;

  • i cortili:

area comune scoperta che, posta tra i corpi fabbrica dell’edificio, ha la funzione di dare aria e luce all’intero fabbricato. E tuttavia possibile che, ove deliberato dall’ assemblea, possa essere destinato a parcheggio delle macchine sempre nel rispetto dell’ art.1102, e che l’assemblea stessa possa disciplinare l'uso turnario in caso di incapienza del bene comune

Alla seconda categoria appartengono i locali destinati a servizi comune: i locali per la portineria e l’alloggio del portierela lavanderiail riscaldamento centralegli stenditoi ecc.

Alla terza appartengono i beni o gli impianti che sono accessori di tutte le proprietà singole o una parte di esse: le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune:

  • gli ascensori
  • i pozzi
  • le cisterne,
  • gli acquedotti
  • le fognature ed i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, fino cioè all’ingresso dei singoli appartamenti.

Quanto disposto dall’articolo 1117 non ha certo carattere esaustivo ne inderogabile. ciò significa che possono pur esistere dei beni comuni non previsti o vi possono essere dei beni non comuni, ma assegnati in forza di un titolo ad un singolo condomino.

Non costituiscono parti comuni le soffitte, i solai, il sottotetto considerati elementi integranti o pertinenza dell’ultimo piano, i vespai (riempimenti calcarei a nido d’ape) sottostanti il pavimento del piano terra.

Si presumono parti comuni il sottosuolo ed il terrapieno, di concezione diversa rispetto ad i seminterrati o cantinati che possono essere di proprietà esclusiva.

E’ altrettanto possibile che se dei beni comuni servano solo una parte della collettività (ascensore, scala), si avrà in questo caso un condominio parziale. L’amministratore ne dovrà tenere conto per una giusta ripartizione delle spese, escludendo quei condomini che non traggono alcuna utilità da certi beni.

Il pianerottolo non è una pertinenza delle abitazioni, bensì delle scale e deve considerarsi di proprietà comune, a meno che un titolo non dica diversamente .

Condominio orizzontale

Esaminiamo ora i condomini orizzontali, formati da ville di proprietà esclusiva costruite su lotti di terreno che, facendo parte di un unico grande lotto, sono collegati con cose comuni.

Le parti comuni a tutti i lotti di terreno di esclusiva proprietà ove sia costruita o meno una villa, si possono identificare in : - recinzioni - cancelli . videocitofoni - viali - acquedotti - piscine - campi da tennis - impianto di illuminazione. Trattandosi di un condominio atipico, la tabella millesimale sarà del tutto particolare e dovrà tenere conto della superficie dei lotti, della superficie di costruzione, sul volume costruito su di essa e valutare poi la distanza che intercorre tra l’entrata comune e l’entrata in ogni lotto.

Pertinenze ed accessori della proprietà individuale.

Giardini. I giardini, considerati entità naturali, non sono menzionati dall'art. 1117 c. c. tra le parti comuni, in quanto a volte sono una pertinenza comune a tutti i condomini altre volte sono pertinenza ("una cosa senza essere parte di un altra è ad essa accessoria") delle unità immobiliari dei piani terreni; sia nel primo che nel secondo caso sono sempre una parte del lotto del terreno originario comune. E necessario perciò che nel titolo o nell’atto di acquisto venga specificata l’appartenenza di questo giardino, ai fini soprattutto delle spese di manutenzione.

Balconi.. Nelle disposizioni dedicate alla disciplina del condominio, invece, non viene detto nulla a proposito dei balconi, per cui è necessario valutare la situazione caso per caso, considerare la posizione, la struttura e le caratteristiche costruttive di ciascun balcone. Non esiste, quindi, una sola regola valida per tutte le ipotesi; bisogna, invece, individuare i principi che consentono di inquadrare le varie fattispecie. Naturalmente la maggior parte dei problemi è già stata affrontata e risolta dalla giurisprudenza. In molti casi si è pronunciata su di essi anche la Corte di Cassazione. In linea di massima si possono individuare le seguenti situazioni: a) Balconi in aggetto; b) Balconi a castello

Balconi in aggetto: sono i tipici balconi sporgenti sui muri perimetrali e le cui strutture sono di proprietà individuale, esclusi i frontalini che, se rivestiti o contenenti elementi architettonici, costituiscono parte comune.

Balconi a castelloanche se accessori degli appartamenti dai quali si accede rientrano nella proprietà comune a due piani: quello sovrastante e quello sottostante.

Uso delle parti comuni

Molte volte un lavoro eseguito da un condomino senza il consenso dell’assemblea viene ritenuto non lecito, mentre invece è consentito dalla legge. È la legge infatti che sancisce i limiti entro i quali il singolo può eseguire un lavoro utilizzando a proprio favore la cosa comune. Tali limiti non possono essere travalicati, ma vediamo quanto dispone l'art.1102 per l'uso lecito della cosa comune e quanto di contro vieta.

L’articolo 1102 (Uso della cosa comune). Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

In base al primo comma di tale articolo ogni partecipante al condominio ha la facoltà di usare la cosa comune con il divieto però di non alterarne la destinazione, attuando una modificazione del bene o del suo utilizzo in modo contrario alla natura della cosa, al titolo, alla legge, o alla volontà dei partecipanti, espressa attraverso o un regolamento contrattuale o con un regolamento assembleare. Per il secondo comma ogni singolo condomino può apportare, anche a sue spese, le modifiche necessarie al miglior godimento della cosa comune, senza dover chiedere autorizzazione alcuna all’assemblea dei condomini, purché non venga alterata la consistenza e la destinazione del bene che attuano delle innovazioni come vedremo appresso.

All’ultimo comma l’art.1102 precisa, infine, che uno dei comproprietari potrebbe, addirittura usucapire il suo diritto maturato per il suo esclusivo utilizzo determinato dall’inerzia degli altri perdurante un determinato lasso di tempo.

In ogni caso stabilire se è stata compiuta un alterazione della cosa comune o se si attua un possibile impedimento nel pari uso da parte di altri condomini, sarà compito di un tecnico dopo aver compiuto le opportune indagini ed accertamenti.

Uso delle parti comuni

Molte volte un lavoro eseguito da un condomino senza il consenso dell’assemblea viene ritenuto non lecito, mentre invece è consentito dalla legge. È la legge infatti che sancisce i limiti entro i quali il singolo può eseguire un lavoro utilizzando a proprio favore la cosa comune. Tali limiti non possono essere travalicati, ma vediamo quanto dispone l'art.1102 per l'uso lecito della cosa comune e quanto di contro vieta.

L’articolo 1102 (Uso della cosa comune). Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

In base al primo comma di tale articolo ogni partecipante al condominio ha la facoltà di usare la cosa comune con il divieto però di non alterarne la destinazione, attuando una modificazione del bene o del suo utilizzo in modo contrario alla natura della cosa, al titolo, alla legge, o alla volontà dei partecipanti, espressa attraverso o un regolamento contrattuale o con un regolamento assembleare. Per il secondo comma ogni singolo condomino può apportare, anche a sue spese, le modifiche necessarie al miglior godimento della cosa comune, senza dover chiedere autorizzazione alcuna all’assemblea dei condomini, purché non venga alterata la consistenza e la destinazione del bene che attuano delle innovazioni come vedremo appresso.

All’ultimo comma l’art.1102 precisa, infine, che uno dei comproprietari potrebbe, addirittura usucapire il suo diritto maturato per il suo esclusivo utilizzo determinato dall’inerzia degli altri perdurante un determinato lasso di tempo.

In ogni caso stabilire se è stata compiuta un alterazione della cosa comune o se si attua un possibile impedimento nel pari uso da parte di altri condomini, sarà compito di un tecnico dopo aver compiuto le opportune indagini ed accertamenti.

Le tabelle millesimali

Le tabelle millesimali hanno la funzione di determinare il valore delle singole unità immobiliari e di conseguenza il valore delle singole quote di comproprietà sulle parti comuni dell’intero edificio ai fini della ripartizione delle spese e della formazione della volontà dell’organo assembleare.

In virtù di quanto dispone l'art. 68 att. c.c. "per gli effetti indicati dagli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c., il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini.

I valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell’intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio.

Nell’accertamento dei valori medesimi non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano".

Le tabelle millesimali possono essere contenute in un regolamento contrattuale perché predisposte dal costruttore o redatte successivamente per volontà dei singoli condomini. In entrambi i casi la formazione delle tabelle integra un vero e proprio negozio di natura contrattuale, che, andando a riguardare il diritto di comproprietà dei singoli sulle parti comuni, richiede per l’approvazione o modifica l’unanimità. Qualora vi fossero disaccordi e non si potesse arrivare alla formazione delle tabelle millesimali, è previsto che anche un solo condomino possa rivolgersi all’autorità giudiziaria che, procedendo alla redazione tramite un perito, rende obbligatorie per tutti i condomini le tabelle.

Vi sono vari tipi di tabelle millesimali.

La più importante è sicuramente quella di proprietà che esprime il rapporto tra i valori delle singole unità immobiliari, espresse appunto in millesimi. In quasi tutti i condomini ormai vi sono, oltre la tabella di proprietà, altre tabelle, tutte relative ai servizi ed agli impianti comuni regolandone le varie spese di gestione (es. riscaldamento, scale, androne, ascensore, portierato, autoclave ecc ‘).

La redazione delle tabelle millesimali dovrebbe possibilmente essere affidata ad un tecnico in quanto occorre attuare un accurato studio dello stabile, effettuare le planimetrie delle varie unità immobiliari, e procedere poi all’esame delle caratteristiche qualitative, che, a loro volta, incideranno sulla scelta dei valori dei cosiddetti coefficienti riduttori.

Tali coefficienti, definiti da una circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n°12480/66, sono detti di differenziazione ed indicano con 1 il valore normale medio, che può essere aumentato o diminuito secondo se le caratteristiche qualitative hanno più o meno importanza.

Criteri di determinazione.

Nella determinazione di una tabella millesimale non ha alcuna importanza il calcolo esatto dei valori Lire/Mq., o delle superfici o dei volumi, quanto invece il rapporto tra i valori o superfici o volumi delle unità immobiliari. Non vanno tenuti in considerazione il canone di locazione, lo stato di manutenzione o i miglioramenti apportati nel tempo all’unità immobiliare.

L’applicazione dei vari "coefficienti di riduzione", alla superficie o volume reale delle singole unità immobiliari, trasforma tale superficie da reale in virtuale o volume virtuale.

La quota millesimale relativa ad ogni unità immobiliare deriva dal rapporto tra la superficie virtuale della u. i. e la somma di tutte le superfici virtuali di tutte le u. i., secondo coefficienti prestabiliti.

Prendiamo ora in esame i vari coefficienti applicabili:

  1. Coefficiente di destinazione o categoria catastale: viene utilizzato solamente se nello stesso immobile sono presenti unità immobiliari di diverse categorie catastali.
  2. Coefficiente di utilizzazione: identifica il particolare uso dei singoli ambienti dell’u.i..
  3. Coefficiente di altezza: si applica se l’altezza interna è diversa tra le varie u. i., in questo caso si dovrà calcolare il volume e non la superficie.
  4. Coefficiente di orientamento: tiene conto degli effetti connessi ai punti cardinali, e si applica se l’edificio comprende più u. i. per piano, ciascuno con diversa esposizione.
  5. Coefficiente di esposizione e prospetto: viene preso in considerazione se le varie u. i. di un edificio hanno una veduta differente secondo che abbiano il prospetto panoramico, su strada principale, secondaria, chiostrine, pozzi di luce ecc.
  6. Coefficiente di piano: considera gli effetti che derivano ad una u. i. in relazione alla sua altezza dal suolo, e dipende dal fatto che l’immobile abbia o meno l’ascensore.
  7. Coefficiente di funzionalità: si applica se è evidente la razionalità e funzionalità degli spazi tra le varie u.i. dell’edificio.
  8. Coefficiente di luminosità: tiene della quantità di luce che penetra nei vari ambienti, dipende dall’altezza del piano, e si ottiene dal rapporto della superficie dell’ambiente per la misura delle varie finestre.

Dopo aver definito l’applicazione dei vari coefficienti, che esprimono le differenze qualitative tra le varie u.i., questi si moltiplicheranno tra loro, al fine di avere un unico coefficiente, detto globale, che servirà per determinare la superficie o volume reale e dunque le quote millesimali di ogni u.i..

I valori, determinanti le quote millesimali, (ex art. 69 att. c.c.) "possono essere riveduti o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, nei seguenti casi:

1) quando risulta che sono conseguenza di un errore;

2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, è notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano".

Amministratore condominiale: come sceglierlo

Come riconoscere un amministratore di condominio corretto.

La scelta dell’Amministratore deve essere oculata.
La cautela di preferire un iscritto a un associazione di categoria é già qualcosa, ma non basta: nemmeno gli albi professionali tutelano dagli imbroglioni.

E’ un bene informarsi presso altri condomini dove il candidato lavora già e diffidare di chi chiede un compenso irrisorio: probabilmente si rifarà applicando tangenti ai fornitori o alle ditte che eseguono lavori edili.

 

L’amministratore corretto si riconosce dalla serietà della sua gestione:

  • Non impone la sua volontà nelle assemblee di condominio e nelle decisioni importanti.
  • Alla scadenza del suo mandato si rimette in gioco e chiede ai condomini una riconferma esplicita. (Amministratori poco seri, la voce "riconferma amministratore" che di solito viene posta all’ordine del giorno nella convocazione, non la discutono nemmeno, la saltano completamente, dandola per scontata).
  • Accetta preventivi lavori portati dai condomini. (Gli amministratori poco seri e con tendenze tangentare, di solito non accettano preventivi lavori portati dai condomini e sai quale è la scusa’ "Ma non conosco quella ditta, non ci ho mai lavorato insieme, non mi fido di affidare lavori a ditte con le quali non ho mai lavorato, la responsabilità dei lavori è mia, preferisco lavorare con ditte di mia fiducia"). Un comportamento simile dovrebbe farti venire la puzza sotto il naso.
  • Si fa pagare, non sottopagare.
  • Non tollera ritardi nei pagamenti delle rate spese condominiali.
  • Apre un conto corrente intestato al condominio e dà il rendiconto della sua gestione in modo chiaro e trasparente.

L Amministratore condominiale

L’amministratore è l’organo di governo del condominio al quale è legato dal punto di vista legale da rapporti indicati nel contratto di mandato, per sua natura fiduciario.

1703. Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra.

1710. Diligenza del mandatario. Il mandatario è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia’’’

E’ evidente il contrasto giuridico-legislativo, dal momento che, in attesa che le varie proposte di legge trovino attuazione, allo scopo di inquadrare una figura che va acquistando una sempre maggiore rilevanza, soprattutto per il notevole fiorire di nuove leggi speciali, le quali richiedono persone preparate e capaci, chiunque, solo teoricamente però, può svolgere questa attività. Ci si augura che venga approvata la legge che istituisce un Albo professionale a cui gli amministratori dovranno essere iscritti. Tale disegno di legge prevede comunque la possibilità per un condomino interno, anche se non iscritto all’Albo, ma in possesso almeno di una buona preparazione, di amministrare il proprio condominio. Vale comunque la pena di insistere sulla scelta di persone qualificate, preparate ed esperte nel campo. Ogni errore commesso dall’amministratore alla fine ricade sul condomino.

 

 

 

Nomina e revoca.

1129. (Nomina e revoca dell’amministratore). Quando i condomini sono più di quattro, l’assemblea nomina un amministratore. Se l’assemblea non provvede, la nomina è fatta dall’autorità giudiziaria, su ricorso di uno o più condomini.

L’amministratore dura in carica un anno e può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea.

Può altresì essere revocato dall’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, oltre che nel caso previsto dall’ultimo comma dell’ art. 1131, se per due anni non ha reso il conto della sua gestione, ovvero se vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità.

La nomina e la cessazione per qualunque causa dell’amministratore dall’ufficio sono annotate in apposito registro.

L’amministratore deve essere nominato quando in un condominio vi sono più di quattro condomini. Viene eletto dall’assemblea condominiale. La nomina dell’amministratore fatta dal costruttore - venditore di un edificio, anche se inserita nel rogito, è nulla. L’amministratore può essere nominato dall’Autorità Giudiziaria qualora il condominio ne sia sprovvisto e l’assemblea non riesca a pronunciarsi a proposito. L’Autorità Giudiziaria provvede unicamente su richiesta di almeno un condomino. Per l’importanza che riveste la nomina dell’amministratore, la legge prescrive la maggioranza degli intervenuti all’assemblea e almeno la metà dei millesimi degli appartenenti al condominio. La stessa maggioranza, secondo la giurisprudenza, è necessaria per la riconferma.

L’amministratore può essere revocato dall’assemblea con la stessa maggioranza richiesta per la nomina; la revoca può avvenire in qualsiasi momento anche senza motivo alcuno, spettando però, secondo diversi giuristi, il compenso che avrebbe dovuto percepire durante tutto il periodo, soprattutto se viene revocato per colpa non sua prima della scadenza del mandato,.

Ma l’amministratore può inoltre essere revocato anche dall’Autorità Giudiziaria su ricorso anche di un solo condomino:

a) quando, essendo stato destinatario di una citazione o di un provvedimento, che esula dalle sue attribuzioni, non ne abbia dato comunicazione all’assemblea dei condomini (u. c. articolo 1131);

b) se non ha reso conto della sua gestione per due anni;

c) se vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità.

Per la revoca è competente il Tribunale ove ha sede il condominio, che, sentito l’amministratore, provvede in Camera di Consiglio. Contro il provvedimento del Tribunale, l’amministratore può fare ricorso secondo l’art.64 delle disposizioni di attuazione entro 10 giorni dalla notifica.

Durata dell’incarico. L’amministratore dura in carica un anno, scaduto il quale può essere confermato o sostituito, con le maggioranze indicate, ed in ogni caso non decade automaticamente, fino a quando non verrà nominato legalmente un successore.

Retribuzione. All’amministratore spetta un compenso per il lavoro svolto; in mancanza di decisioni in tal senso dell’assemblea sono da applicarsi le tariffe professionali indicate da Collegi e Associazioni. Se passerà la nuova proposta di legge, i compensi si applicheranno a tariffario. Si precede infatti la istituzione di collegi distrettuali e nazionali con il compito di formulare le proposte di tariffe professionali, da sottoporre al Ministero di Grazia e Giustizia. Gli stessi collegi distrettuali potranno essere poi interpellati dai condomini in caso di controversie sull’onorario e avranno anche il compito di tentare una conciliazione della lite.

Attribuzioni dell’amministratore.

1130. L’amministratore deve:

1) eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini e curare l’osservanza del regolamento di condominio;

2) disciplinare luso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini;

3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni;

4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.

Egli, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione

Le attribuzioni dell’amministratore, di carattere essenzialmente esecutivo, sono definite dall’art.1130 c.c.; ad esse devono aggiungersi quelli eventualmente attribuiti dal regolamento di condominio, dall’assemblea, da leggi speciali e dalle norme generali del diritto.

Esecuzione delle delibere. L’amministratore deve dar corso alle delibere prese dall’assemblea e curare l’osservanza del regolamento di condominio, operare con la diligenza del mandatario, e non potrà applicare deliberazioni, contrarie alle leggi e all’ordine pubblico.

Disciplinare l'uso delle cose comuni. E compito dell’amministratore consentire a tutti i condomini di usufruire dei servizi comuni in maniera completa, andando a stabilire in concreto quanto non previsto dal regolamento di condominio. E altrettanto necessario il buon senso quando si tratta di trovare soluzioni che, pur permettendo a tutti di godere di parti comuni, non sempre sono adatte a soddisfare i bisogni o le pretese di tutti i condomini.

Si pensi per esempio al cortile insufficiente per posteggiare le autovetture di tutti o alle necessità di consentire svago ai bambini in contrasto con il bisogno di quiete delle persone anziane. Per raggiungere questo, l’amministratore può addirittura ordinare e invocare dalle autorità il rispetto delle sue disposizioni. Unica difesa dei condomini dissenzienti è il ricorso alla assemblea.

Riscuotere i contributi ed erogare le spese. L’amministratore è inoltre un organo finanziario nel senso che deve riscuotere le quote di spese condominiali ed impiegarle per il buon funzionamento del condominio, deve redigere il rendiconto consuntivo, facendolo approvare dall’assemblea unitamente al preventivo con la relativa ripartizione delle spese

Ciò è importantissimo perché soltanto grazie a tali approvazioni, l’amministratore potrà ottenere dal Tribunale "provvedimenti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi di condanna" nei confronti dei condomini morosi, naturalmente proprietari, per l’art. 63 delle disposizioni di attuazione. Infatti il giudice, di fronte ad una situazione di chiara morosità, potrà prendere subito le necessarie misure, riservandosi solo in seguito di esaminare eventuali obbiezioni da parte del condomino.

Dal momento che i crediti condominiali non sono privilegiati, in caso di fallimento o di vendita di immobili da parte di qualche condomino il recupero può divenire estremamente difficile, per cui, a ragione, la giurisprudenza dominante sostiene che l’amministratore potrebbe rispondere in proprio dell’insolvenza del condomino, se risulterà che egli non si è attivato per tempo (come purtroppo spesso accade). Si ritiene normale prassi addebitare a tutti i condomini le quote non versate da un condomino in stato fallimentare ed inviare le ricevute al curatore fallimentare nella speranza di poter rientrare delle somme versate nel caso di capienza.

Oltre a quanto previsto per la manutenzione ordinaria, l’amministratore deve provvedere a tutto quanto concerne la manutenzione straordinaria ed imprevedibile in termini di realizzazione e pagamenti. Per la realizzazione di tali opere dovrà essere espressamente autorizzato dall’assemblea a meno che le opere non rivestano il carattere di urgenza.

Compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti le parti comuni. L’amministratore ha il dovere di tutelare gli interessi del condominio sia nei confronti dei singoli condomini che nei confronti dei terzi.

Rendere il conto della sua gestione. L’amministratore ha l’obbligo di relazionare annualmente l’assemblea per tutto ciò che concerne la gestione contabile indicando le entrate, le uscite, la situazione patrimoniale e la ripartizione delle spese tra i condomini.

Altri compiti. E’ dovere dell’amministratore provvedere ad eliminare subito il pericolo nell’imminenza di possibili crolli, anche se l’assemblea per questioni di risparmio abbia rinviato i lavori necessari. Dovrà intervenire con decisione e autorità se qualcuno mette in pericolo l’incolumità altrui. In situazioni di questo genere, la disubbidienza alle deliberazioni assembleari è un dovere che gli deriva da norme penali: infatti, in caso di reato egli dovrà rispondere innanzi al magistrato, eventualmente insieme a tutti i condomini. L’amministratore inoltre quale custode del regolamento condominiale dovrà adoperarsi per farlo rispettare, anzi potrà rivolgersi al magistrato senza bisogno di alcun consenso se incontrasse forti resistenze. Tutti gli stabili moderni dispongono di numerosi impianti (ascensori, gas, luce, elettricità, riscaldamento, scarichi fognari, antenna centralizzata e talvolta anche impianti di sicurezza antincendio, piscine campi da tennis e così via), vengono utilizzati una vasta gamma di servizi (polizze assicurative, portineria o impresa pulizie, giardiniere ecc.) ed ognuno di questi elementi può essere fonte di guai o di problemi. L’amministratore è così costretto a possedere una notevole competenza unita a capacità organizzativa e buon senso e ad avere in più la capacità di decidere tempestivamente, quando ad esempio uno stabile potrebbe rimanere al freddo per parecchi giorni nel cuore dell’inverno o gli ascensori in stabili di dieci piani non sono funzionanti.

Responsabilità civili. Oltre ai compiti indicati nell’art.1130 del c.c., ve ne sono altri di carattere tecnico-amministrativo, comuni agli amministratori di società, riguardando le norme sui dipendenti, quelle sui contributi da versare ad INPS ed INAIL, quella sulla sicurezza degli ascensori.

Responsabilità penali. Ma in quanto responsabile del condominio, sull’amministratore gravano anche responsabilità più pesanti: alludiamo a quelle penali. Possono essere ricondotte a due specie: quelle di volontà e quelle di omissione. Sono volontari tutti quei reati commessi con dolo. In particolare le violazioni di domicilio, all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sospensione dei servizi perché il condominio non paga), e così via. Si è di fronte invece ai reati di omissione qualora per negligenza, non si mettono in atto tutte quelle misure di sicurezza richieste dalla legislazione o imposte dalla tecnica più progredita e da ciò derivano lesioni o anche la morte. Si allude ai cornicioni caduti, ad ascensori precipitati, a caldaie scoppiate ed a corti circuiti e incendi. Va raccomandata in tali campi la massima diligenza anche se ciò costasse la disubbidienza alle delibere assembleari, che spesso sono in contrasto con la legge penale; è meglio, infatti, non essere riconfermati amministratori che sentirsi sulla coscienza la vita o la menomazioni di una persona. Una buona polizza assicurativa può alleviare il danno civile, ma non annulla il fatto e soprattutto non solleva dalla conseguente condanna penale.

Rappresentanza attiva e passiva.

1131. (Rappresentanza). Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi.

Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.

Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini.

L’amministratore che non adempie a questobbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.

L’amministratore, quale organo rappresentativo, ha il potere di rappresentare il condominio in giudizio. Se promuove azioni legali si dice che la rappresentanza èattiva. Se deve resistere ad azioni promosse da altri la rappresentanza è passiva. Nel primo caso l’amministratore può agire in giudizio a tutela degli interessi condominiali sia nei confronti dei condomini stessi che dei terzi nei limiti delle attribuzioni stabilite dalla legge o dal regolamento. Può anche agire al di fuori di tali limiti ma solo a seguito di una delibera assembleare presa con il voto del secondo comma 1136.

Può inoltre adire vie legali per ottenere l’osservanza del regolamento di condominio o l’esecuzione di delibere non rispettate. Se è convenuto in giudizio bisogna distinguere se la citazione riguarda o meno questioni comprese nelle sue attribuzioni, Nel primo caso potrà operare come meglio crede in relazione alla scelta dei legali ed alla strategia da seguire, e l’azione deve riguardare solo le parti comuni (ciò anche se a rivolgersi verso il condominio è un condomino), nel secondo caso dovrà informare immediatamente l’assemblea. La "legittimazione" rimane intatta per tutti i gradi di giudizio, ma in ogni caso è limitata alle vertenze relative alle parti ed ai servizi comuni, mentre quelle riguardanti le singole proprietà dovranno essere gestite dai diretti interessati. La legittimazione comprende quindi anche la possibilità di impugnare una sentenza. L’assemblea, però, per quanto riguarda la rappresentanza processuale del condominio, può conferire questo potere anche a una persona diversa dall’amministratore.

Il Regolamento di Condominio

Il condominio è regolato, oltre che dalle norme stabilite dalle leggi, anche dalle disposizioni contenute in un proprio regolamento di condominio il quale obbliga tutti i condomini sia originari che successivi acquirenti delle singole unità.

Rappresenta dunque lo statuto contenente l’insieme delle norme cui debbono attenersi tutti i singoli partecipanti al condominio.

Se da un lato il codice prevede delle norme sul condominio in generale, il regolamento, facendo riferimento alla fattispecie presa in esame, va a regolare i problemi che ogni condominio comporta in relazione ai diversi metodi e criteri costruttivi che generano spesso incertezze sulla individuazione delle parti comuni e di riflesso sulla ripartizione delle spese. E’ evidente che più un regolamento è completo, più si eliminano i contrasti e le questioni tra condominio tra amministratore e condomini.

1138. (Regolamento di condominio). Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa luso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.

Ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente.

Il regolamento deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell art. 1136 e trascritto nel registro indicato dall’ultimo comma dell’ art. 1129. Esso può essere impugnato a norma dell’ art. 1107.

Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132 1136 e 1137.

L’art.1138 c.c. impone la formazione di un regolamento allorché in un condominio vi siano più di dieci condomini, pur essendo facoltativo con un numero inferiore.

Si possono avere due diversi tipi di regolamento, in relazione al diverso tipo di maggioranze per l’approvazione e di conseguenza per la forza vincolante di ognuno.

 

Regolamento contrattuale.

E’ il regolamento predisposto dal costruttore, e viene di solito accettato e dunque approvato, facendo parte integrante del contratto, dai condomini acquirenti delle singole unità immobiliari.

Può contenere a carico dei singoli condomini delle limitazioni che un regolamento approvato a maggioranza non può contenere, come per esempio vietare di apporre insegne, targhe o qualunque altra attrezzatura similare sui muri perimetrali comuni dell’edificio.

 

Può anche fissare qualsiasi suddivisione delle spese comuni e potrà essere modificato solo con l’assenso di tutti.

 

Regolamento assembleare.

E’ il regolamento con la maggioranza qualificata dell’assemblea dei condomini sia nel caso di formazione che nel caso di revisione, anche su iniziativa di un solo condomino. In entrambi i casi è necessaria la maggioranza del 2° comma dell’art.1136 c. c., ossia la maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresentino almeno metà del valore dell’edificio.

Altri autori, invece, escludono tale natura "normativa" limitandosi a riconoscere al regolamento condominiale natura meramente "negoziale", risultando così l’interpretazione delle norme in esso contenute insindacabile in sede di legittimità. In quest' ultimo senso è ora orientata tra l’altro anche la Corte di Cassazione.

Il regolamento assembleare non va trascritto come allegato nei registri immobiliari e quindi non ha alcun valore come documento se cè un contrasto di interessi con qualcuno estraneo al condominio.

 

Contenuto del regolamento.

Il Regolamento condominiale deve essere strutturato in maniera tale da comprendere nella prima parte una precisa identificazione delle parti comuni dell’edificio confermando o variando quanto contenuto nell’ art. 1117 c. c. in ragione o dei titoli di proprietà o delle caratteristiche tipiche del condominio preso in esame. Sempre a proposito delle parti comuni, deve contenere le regole sull’utilizzo delle stesse, precisando eventualmente le relative limitazioni. Componente essenziale di ogni regolamento deve essere una trattazione, possibilmente analitica, della disciplina relativa alla ripartizione delle spese tra i condomini, utile e necessaria per eliminare contrasti all’interno del condominio. Sostanziale a questo proposito è la differenza tra i due tipi di regolamenti. Infatti, il regolamento contrattuale può derogare in questo senso ai criteri stabiliti dal codice civile, il regolamento assembleare, invece, deve limitarsi ad attuare per le diverse parti comuni le disposizioni di legge. Entrambe le forme di regolamento, poi, possono determinare con precisione le attribuzioni dell’amministratore, prevedere o riservare talune attività all’assemblea o ad alcuni condomini (es. capisca la), ma non possono mai modificare le disposizioni inderogabili del cod. civile. 

L’Assemblea di Condominio

L’assemblea è l’organo deliberativo o normativo del condominio e rappresenta nella sua sovranità la suprema volontà dei condomini.

I poteri dell’assemblea riguardano le decisioni circa l’uso delle parti comuni, le innovazioni, la ripartizione spese, la nomina e revoca dell’amministratore, l’approvazione dei preventivi e rendiconti, le liti giudiziali, ma trovano dei limiti nelle norme inderogabili della legge e nella sfera di diritti privati dell’individuo.

L’ assemblea di condominio è composta da tutti i condomini e in certi casi (v. assemblea ordinaria annuale) anche dagli usufruttuari. Soltanto per le deliberazioni che riguardano il riscaldamento ed il condizionamento possono intervenire anche gli inquilini. Chi non è condomino non può prendere parte all’assemblea, a meno che non abbia la delega di un condomino naturalmente proprietario.

1135. (Attribuzioni dell’assemblea dei condomini). Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede:

1) alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione;

2) all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa ripartizione tra i condomini;

3) all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e all’impiego del residuo attivo della gestione;

4) alle opere di manutenzione straordinaria, costituendo, se occorre, un fondo speciale.

L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.

Modalità, forma e contenuto della convocazione.

L’amministratore deve convocare tutti i condomini aventi diritto o a mezzo raccomandata a mano, facendo cioè circolare un foglio su cui ognuno può apporre la propria firma per presa visione, o con la classica raccomandata con ricevuta di ritorno. E’ opportuno infatti che l’amministratore si procuri la prova dell’avvenuta convocazione, per cui, pur nel silenzio della legge, che non prescrive formalità particolari, è da escludersi qualsiasi forma di convocazione verbale.

L’assemblea deve essere convocata lasciando almeno cinque giorni tra il momento del ricevimento della comunicazione e quello dell’assemblea. I cinque giorni iniziano a decorrere dal giorno seguente al ricevimento dell’avviso da parte del condomino. Non esistono giustificazioni, nemmeno di forza maggiore, che possono far abbreviare tale termine.

L’amministratore deve dunque provvedere a spedire gli avvisi di convocazione con notevole anticipo. In caso di mancanza di tempo potrà avvalersi dell’operato dell’ufficiale giudiziario o della consegna a mano.

L’avviso di convocazione deve contenere tutti gli elementi idonei a individuare il luogo, la data ed ora dell’incontro. E, inoltre, consigliabile che nell’avviso di convocazione sia indicata eventualmente la data dell’assemblea di seconda convocazione, tenendo presente che essa non deve essere tenuta ne nello stesso giorno, ne oltre dieci giorni dalla prima.

L’assemblea, inoltre, non deve essere convocata in orari impossibili, e pur non essendo previsto un luogo preciso per la convocazione dell’assemblea, bisogna evitare che taluni condomini evitino di partecipare a causa della scelta della sede, per esempio di partito o di appartamento di condominio in lite con altri ecc. L’assemblea potrebbe essere tenuta anche molto distante dal condominio, per es. d’inverno, per una seconda casa estiva, pur essendo opportuno tenerla nel comune dove vive la maggior percentuale di condomini.

Un invito esplicito a disertare la prima convocazione per presentarsi direttamente alla seconda per aggirare le difficoltà relative alla costituzione delle maggioranze necessarie, spesso difficili da raggiungere, fa sì che l’assemblea effettivamente convocata, dovrà ritenersi di prima convocazione anziché di seconda, con tutte le conseguenze che ne derivano.

La convocazione inoltre deve contenere un preciso ordine del giorno, in quanto ogni condomino ha il diritto di sapere su che cosa si dovrà discutere anche per potersi preparare in modo adeguato, per questo motivo infatti, nessuna decisione può essere presa su un argomento che non sia stato posto all’ordine del giorno (es. varie ed eventuali).

L’amministratore o un suo delegato devono essere presenti presso la sede dove si tiene l’assemblea e fornire la prova della regolarità della convocazione e consegnare almeno la documentazione necessaria allo svolgimento dell’assemblea. Occorre poi fare l’appello dei presenti e procedere alla nomina di un Presidente e di un segretario. Il primo avrà il compito di disciplinare l’assemblea, il secondo dovrà redigere il verbale.

66. L’assemblea, oltre che annualmente in via ordinaria per le deliberazioni indicate dall art. 1135 del codice, può essere convocata in via straordinaria dall’amministratore quando questi lo ritiene necessario o quando ne è fatta richiesta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione.

In mancanza dell’amministratore, l’assemblea tanto ordinaria quanto straordinaria può essere convocata a iniziativa di ciascun condomino.

L’avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza.

L’assemblea è di regola convocata dall’amministratore in carica, e solo in tre casi può essere convocata da persone differenti con determinati accorgimenti e cautele :

1) da ciascun condominio quando manca l’amministratore (per esempio defunto);

2) da almeno due condomini che rappresentino 1/6 del valore dell’edificio, qualora l’amministratore si sia rifiutato di convocarla;

3) dal curatore speciale, come stabilisce l’articolo 65 delle disposizioni di attenzione del codice civile.

La delega assembleare

67. Ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante.

Qualora un piano o porzione di piano dell’edificio appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati; in mancanza provvede per sorteggio il presidente.

L’usufruttuario di un piano o porzione di piano dell’edificio esercita il diritto di voto negli affari che attengono all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni.

Nelle deliberazioni che riguardano innovazioni, ricostruzioni od opere di manutenzione straordinaria delle parti comuni dell’edificio il diritto di voto spetta invece al proprietario.

Ogni condomino può intervenire in assemblea a mezzo di un rappresentante, pertanto se nulla dice a riguardo il regolamento, chiunque, condomino o estraneo o anche l’amministratore, può essere portatore di deleghe.

Il delegato però non può delegare a sua volta ad altri, a meno che non sia autorizzato da chi ha dato la delega. La legge, non pone limite al numero delle deleghe, ma parte della giurisprudenza ammette che il regolamento contrattuale possa prevedere un numero massimo delle deleghe, di cui uno può essere portatore, sia vietando a qualcuno di esserne portatore (per esempio l’amministratore). Il mandante è rappresentato in pieno dal delegato, a meno che non gli abbia comunicato i limiti del suo mandato, non potrà mai lamentarsi per l’operato del delegato, anche se lo stesso ha votato in modo differente alle sue istruzioni. Ad ogni effetto il condomino rappresentato è come se fosse presente. Un condomino proprietario di più appartamenti può dare solo una delega; è pertanto illegittimo il comportamento di quei costruttori - venditori che danno deleghe, per rappresentarli in assemblea, a tutti coloro che non sono ancora proprietari di un’unità immobiliare, ma hanno solo firmato un compromesso di acquisto. Infatti a contare nelle votazioni non è solo il numero di millesimi posseduti, ma anche quello di condomini presenti, secondo il principio " ad ognuno un voto" . Se un condomino è rappresentato da più di una persona e ciascuna delle quali potrebbe votare in modo diverso, tale principio perderebbe il senso.

Duplice maggioranza. Nel sistema maggioritario del condominio ogni decisione deve essere presa con la duplice maggioranza: quella espressa dal valore dell’edificio rappresentata dai millesimi e quella dei condomini. Le delibere si adottano con le diverse maggioranze, secondo meccanismi e percentuali che variano anche a seconda della proposta presa in esame.

Millesimi. I millesimi risultano dai rogiti d’acquisto in mancanza e provvisoriamente possono essere sostituiti da un altro sistema (per esempio: calcolando il numero dei vani). Relativamente al principio della maggioranza dei condomini, il proprietario di tre grandi appartamenti e di un box hanno esattamente lo stesso potere di voto del proprietario di un monolocale. Moglie e marito che hanno in comunione uno o più appartamenti, o eredi che hanno (anche con quote diverse) in comproprietà lo stesso immobile, hanno diritto a un solo voto. Si rammenta che il voto è sempre unico e non può essere frazionato; se si presentano in assemblea più comunisti o comproprietari, essi devono scegliere un rappresentante unico.

Le norme che riguardano la convocazione e il funzionamento dell’assemblea sono dettate dallart.1136 cod. civile e sono inderogabili. La loro violazione comporta la nullità o l’annullabilità

dell’assemblea o delle sue deliberazioni.

1136. (Costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni). L’assemblea è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell’intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio.

Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Se l’assemblea non può deliberare per mancanza di numero, l’assemblea di seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima; la deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio.

Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell’amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore medesimo, nonché le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità devono essere sempre prese con la maggioranza stabilita dal secondo comma.

Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal primo comma dell’ art. 1120 devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio (1) (2).

L’assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione.

Delle deliberazioni dell’assemblea si redige processo verbale da trascriversi in un registro tenuto dall’amministratore.

Costituzione e validità dell’assemblea. Uno degli aspetti principali dell’intera normativa sul condominio riguarda la costituzione dell’assemblea e le maggioranze necessarie per deliberare sui vari punti all’ordine del giorno. Non bisogna infatti confondere quanto previsto al primo comma dell’articolo 1136 c.c. a proposito di regolare costituzione o validità dell’assemblea con la validità delle deliberazioni. Per la validità dell’assemblea in prima convocazione occorre che al momento dell’inizio della assemblea siano presenti, di persona o per delega, i 2/3 del valore dell’edificio o valore delle singole unità immobiliari espressi in millesimi, e i 2/3 dei partecipanti al condominio determinabili con un semplice calcolo matematico. Mancando entrambe queste condizioni, il codice prevede che l’assemblea possa riunirsi in seconda convocazione, e pur non parlando espressamente di regolare costituzione dell’assemblea, la sottintende prescrivendo che per la validità delle deliberazioni è necessario il voto favorevole di almeno 1/3 dei condomini che rappresentino almeno 1/3 del valore dell’edificio. Constatata la validità dell’assemblea, questa resta sempre valida anche se in seguito molti partecipanti si allontanano. Per la validità delle deliberazioni occorre controllare volta per volta se il quorum richiesto viene raggiunto. I condomini possono lasciare l’assemblea, possono arrivare dopo che è iniziata ma ciò deve essere annotato, occorrendo che per ogni votazione sia verificato il raggiungimento del quorum stabilito.

Prima e seconda convocazione. Detto della regolare costituzione dell’assemblea e verificato che non siano stati raggiunti i requisiti minimi, l’amministratore deve redigere verbale di assemblea deserta che deve essere trascritto nel libro verbali. E’ importante che questa procedura venga rispettata, dal momento che si rischia che l’assemblea di seconda convocazione possa intendersi di prima, con lo spostamento delle relative maggioranze. Se nell’avviso di convocazione è già indicata la data dell’assemblea di seconda convocazione, l’amministratore non ha altre incombenze. Se invece nulla è indicato, l’amministratore deve provvedere a convocare ed a tenere entro 10 giorni dal giorno della prima convocazione l’assemblea di seconda convocazione.

Il Presidente. Constata la validità dell’assemblea, è bene che questa scelga il Presidente e il segretario. Se l’assemblea è numerosa occorre che il Presidente sia una persona energica e competente a guidare un dibattito. Il Presidente ha solamente poteri disciplinari e di certificazione limitati a quella assemblea. Il Presidente deve anche risolvere alcuni casi che si possono presentare: se sono presenti dei comproprietari, egli deve invitare a scegliere un rappresentante comune, dovrà anche avvertire che non possono essere ammesse le votazioni segrete. Dovrà pure avvertire che per essere valide le deliberazioni devono raggiungere il quorum richiesto sia con riferimento ai millesimi, sia con riferimento alla percentuale di condomini.

Svolgimento dell’assemblea. Adempiute le formalità ha inizio la discussione sull’ordine del giorno, limitando possibilmente il tempo degli interventi. Ogni discussione di solito termina con la richiesta di approvazione o di rigetto di proposte su cui si è discusso. I voti sono sempre positivi o negativi, gli astenuti non contano. Le deliberazioni sono approvate se raggiungono il quorum richiesto, che per la prima convocazione è equivalente almeno alla metà del valore dell’edificio ed un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea. Fanno eccezione le delibere che la legge classifica come importanti, per le quali occorre un quorum speciale sia in prima sia in seconda convocazione.

Maggioranze per le votazioni. Esaminiamo ora le maggioranze che la legge richiede per la validità delle deliberazioni. Mentre in prima convocazione le delibere devono riportare il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio, in seconda convocazione è sufficiente l’approvazione di 1/3 dei condomini rappresentanti almeno 1/3 del valore dell’edificio. Tale maggioranza normale è necessaria per la maggior parte delle deliberazioni:

  • approvazione del bilancio annuale e del preventivo di spese ordinarie da ripartire tra tutti i condomini;
  • opere di manutenzione straordinaria e costituzione fondo speciale;
  • tutte le deliberazioni che non richiedono maggioranze espressamente previste dalla legge.

Si parla di maggioranza qualificata quando occorre invece il quorum di almeno la metà del valore dell’edificio e della maggioranza degli intervenuti per:

  • la nomina, la revoca e la riconferma dell’amministratore;
  • l’autorizzazione alle liti attive e passive;
  • le deliberazioni che riguardano riparazioni straordinarie di notevole entità. La valutazione di quanto una riparazione sia di notevole entità va fatta caso per caso.
  • Formazione e revisione del regolamento di condominio non contrattuale

E’ necessario la maggioranza speciale dei 2/3 del valore dell’edificio e della maggioranza dei partecipanti al condominio quando:

  • si deve decidere sulle innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo delle cose comuni.

Si deve invece far ricorso all’unanimità dei consensi per:

  • la formazione o revisione del regolamento contrattuale;
  • la formazione o revisione delle tabelle millesimali;
  • decisione che comporti un qualche effetto sul diritto di proprietà dei singoli condomini.

Verbale. Compito del segretario è quello di redigere il verbale delle deliberazioni dell’assemblea. Il verbale deve essere redatto durante l’assemblea e letto ai presenti. Deve essere conciso ed essenziale.

L’ultimo comma dell’art.1136 c.c. stabilisce che le deliberazioni dell’assemblea devono essere trascritte nel registro dei verbali che l’amministratore deve tenere e consegnare poi a chi gli subentra. In tale documento che ha valore di prova scritta per le delibere prese fino alla loro impugnazione, si può rilevare la storia del condominio in tutto il suo divenire.

Elementi essenziali del verbale sono l’indicazione delle decisioni prese, il quorum raggiunto dalle varie deliberazioni, il nome di coloro che hanno manifestato il proprio dissenso. Ciò permetterà, infatti, agli stessi di impugnare una delibera.

La copia del verbale deve essere trasmessa a cura dell’amministratore a tutti i condomini che erano assenti, sia per portare a loro conoscenza le deliberazioni prese dall’assemblea e gli obblighi che ne derivano, sia per dare loro modo, entro trenta giorni, di impugnarle. In mancanza di tale comunicazione non trascorrerebbe mai questo periodo e l’amministratore non avrebbe mai la sicurezza che una delibera sia diventata definitiva. Se questa comporta un notevole impegno economico, sarebbe tuttavia opportuno che l’amministratore attenda 30 giorni prima di applicarla. La comunicazione di copia del verbale deve essere fatta quindi con tutte le garanzie indicate per le convocazioni.

Impugnazione delle delibere

I condomini assenti e dissenzienti se ritengono che una delibera sia contraria alla legge o al regolamento del condominio possono impugnarla. L’impugnativa può essere proposta unicamente con atto di citazione, entro il termine tassativo di trenta giorni che decorrono per i presenti dal momento della delibera, per gli assenti dal giorno della ricezione del verbale dell’assemblea. Non ha senso far annullare una delibera che sia stata applicata, a meno che ci siano danni da rivendicare.

1137. (Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea). Le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini.

Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino dissenziente può fare ricorso all’autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità stessa.

Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti.

Ai fini delle impugnazioni delle deliberazioni è importante la distinzione tra delibere nulle e delibere annullabili: una delibera annullabile diviene pienamente valida dopo un certo periodo, se non è stata impugnata. Una delibera nulla, invece, non è mai valida.

Delibere nulle. Sono nulle le delibere che:

  • non sono mai sorte per mancanza di quorum;
  • sono state adottate su delle materie che esulano dai poteri dell’assemblea;
  • sono state prese da un assemblea nulla (l’assemblea è nulla quando non tutti i condomini sono stati convocati o quando non ha raggiunto il quorum per la validità).

Qualora una delibera sia nulla, cioè non sia mai sorta per la nullità dell’assemblea, o per la mancanza di quorum, essa può essere impugnata senza limiti di tempo. Tale diritto, a differenza delle delibere annullabili, spetta anche a coloro che l’hanno votata..

Delibere annullabili. E’ annullabile la delibera che:

- è in contrasto con le norme del regolamento di condominio o con le norme derogabili del codice;

- è conseguente a un’assemblea annullabile

Limiti della deliberazione. Le delibere prese dall’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini e sono esecutive. E’ da rilevare, però, che oltre al magistrato anche l’amministratore può sospendere l’esecuzione di una deliberazione applicando la diligenza del buon padre di famiglia, e può farlo in alcuni casi e precisamente:

1) quando sia contraria a una norma penale o a una orma imperativa di legge (che non può essere modificata nemmeno con l’accordo degli interessati);

2) quando si accorge che è nulla per mancanza di quorum;

3) quando si accorge che potrebbe essere dannosa per la collettività condominiale (per esempio: l’assemblea affida lavori straordinari a una ditta che risulta in stato fallimentare).

L’impugnazione, pur non attivando automaticamente la sospensione della delibera, fa si che l’amministratore debba avere il buon senso di attendere la fine della vertenza, sempre che non sia il giudice stesso per motivi di opportunità a sospenderla.

La gestione del condomino

Il Codice civile riservando solo pochi articoli alla materia condominiale, molto poco dice a proposito della tenuta della contabilità.

Le norme di legge infatti si limitano a stabilire che l’amministratore è tenuto al termine di ogni anno a rendere il conto della sua gestione all’assemblea (art. 1130 ult. comma), che può essere revocato dall’autorità Giudiziaria su ricorso di ogni condomino se per due anni non presenta il conto della gestione (art. 1129 3 comma), e che è compito dell’assemblea approvare il preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e la relativa ripartizione tra condomini, nonché il rendiconto annuale dell’amministratore e l’impiego del residuo attivo della gestione (art. 1135).

Al contrario per quanto invece previsto per le società o imprese commerciali, le cui scritture contabili devono seguire rigorose norme, per la redazione del bilancio condominiale, il legislatore ha evitato rigide formalità. E evidente che ne trae vantaggio la semplicità, ma è altrettanto evidente che tale semplicità sia adatta soltanto ai condomini di ridotte dimensioni e non ai gradi complessi immobiliari.

IL RENDICONTO

Il rendiconto è il più importante biglietto da visita dell’amministratore. Attraverso infatti la presentazione del rendiconto vengono evidenziate le doti dell’amministratore in termini di puntualità, precisione, trasparenza.

Scopo della presentazione del rendiconto è dimostrare ai condomini come si è attuata la gestione, quali sono state le spese, in modo tale che si possa tenere sotto controllo l’operato dell’amministratore. Anche per quanto concerne il rendiconto, nulla viene precisato a proposito della forma e del luogo.

Forma. A proposito della forma, potrà utilizzare quella che a suo giudizio sia la migliore, attenendosi però a determinate regole per le quali è necessario che un rendiconto contenga tutte le voci relative alle entrate, compreso il fondo cassa all’inizio dell’esercizio, tutte le voci relative alle uscite, con allegati la ripartizione definitiva delle spese, la dimostrazione delle spese per gruppo, i crediti ed i debiti del condominio e se alcuni regolamenti prevedono la costituzione di fondi, l’amministratore oltre a rispettarne scrupolosamente la destinazione, deve darne annualmente conto, inserendo una quota di accantonamento nel preventivo relativo alla gestione del nuovo esercizio.

Luogo. Fino agli anni sessanta, parecchie sentenze erano concordi nel ritenere che la presentazione del rendiconto potesse farsi in assemblea. Tale teoria è stata però sovvertita da tutte le più recenti sentenze che hanno ritenuto più giusto, estendendo al condominio quanto previsto dall'art.1105 secondo cui "per la validità delle deliberazioni della maggioranza si richiede che tutti i partecipanti siano stati preventivamente informati dell’oggetto delle deliberazioni"

Questo significa che oltre alla convocazione, con all’ordine del giorno l’approvazione del rendiconto, è opportuno inviare copia del rendiconto stesso per poter ogni condomino prepararsi alla discussione, esaminare eventualmente le pezze giustificative che l’amministratore dovrà mettere a sua disposizione nei giorni precedenti l’assemblea, conoscere la situazione generale del condominio e verificare se la ripartizione corrisponde alle indicazioni fornite dall’assemblea o dai regolamenti.

Conto corrente condominiale.

E’ ormai opinione diffusa che l’amministratore possa aprire un conto corrente intestato collettivamente al condominio; è però opportuno che tale operazione sia decisa dall’assemblea.

È comunque evidente che l’amministratore non può versare le somme condominiali su un conto corrente personale, facendo propri gli interessi bancari, dal momento che il singolo condomino ha un diritto soggettivo a vedere versate le sue quote su un conto corrente intestato al condominio e non personalmente all’amministratore e a conoscere l’entità degli interessi che maturino in suo favore.

Non è infatti legittimo il comportamento dell’amministratore che fa affluire i versamenti delle quote condominiali sul suo conto corrente personale e non su quello del condominio secondo varie pronunce di Tribunali.

Codice fiscale

L’amministratore deve richiedere il codice fiscale dello stabile in condominio che amministra all’ufficio distrettuale delle imposte dirette, in quanto questo deve essere esibito ed indicato in molte occasioni. Per far ciò deve presentare, oltre i suoi dati personali, anche il verbale dell’assemblea, da cui si evinca la sua nomina ad amministratore. 

Documenti condominiali

Fra i compiti dell’amministratore vi è senz’altro quello di provvedere alla conservazione dei documenti condominiali.

Una parte di questi, riguardando la vita del condominio, va conservata a tempo indeterminato e comprende: a) il regolamento condominiale, b) l’elenco aggiornato di tutti i condomini, c) le tabelle millesimali, d) l’inventario dei beni di proprietà comune, e) il registro dei verbali dell’assemblea, f) la documentazione relativa alla costruzione dell’edificio, con lo schema dei vari impianti, concessioni comunali ecc., g) le ricevute sia degli avvisi di convocazione, sia delle trasmissioni dei verbali di assemblea, h) i documenti relativi alle assicurazioni sociali (Inps, Inail)

Un’altra parte, riguardando rapporti giuridici di durata definita, va conservata per tutto il periodo necessario previsto e comprende: a) contratto assunzione del portiere, b) contratti di fornitura Energia elettrica, acqua, combustibile, c) contratto manutenzione ascensori, d) assicurazione dello stabile, e) libretti di centrale termica, ascensori ecc.

L’ultima parte comprende documenti essenzialmente contabili come ricevute di pagamento, fatture, estratti conto bancari ecc.

Per quanto riguarda le ricevute di pagamento relativi all’esecuzione dei lavori e forniture di beni e servizi, queste devono essere conservati fino alla prescrizione decennale prevista dall’art.2946 del c.c.

Ripartizione delle spese

Il condominio e’ un "ente di gestione" nel senso che provvede attraverso l’amministratore ad erogare le spese occorrenti alla manutenzione delle parti comuni con evidente ripartizione delle spese ordinarie e straordinarie tra i condomini.

La ripartizione delle spese costituisce uno dei motivi di maggiori conflitti tra amministratore e condomini.

I criteri circa la ripartizione delle spese sono previsti dal codice civile agli articoli 1123, 1124, 1125, 1126.

1123. Ripartizione delle spese.

Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.

Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.

L’articolo 1123 stabilisce addirittura tre diversi criteri di ripartizione :

1) riparto in misura proporzionale al valore delle singole proprietà, in base cioè alle rispettive quote millesimali.

2) riparto in misura proporzionale all’uso potenziale, allorché le cose comuni sono destinate a servire i condomini in misura diversa.

3) riparto in base alla destinazione esclusiva, quando cioè un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire solo una parte dell’intero fabbricato, le spese relative sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.

Essendo comproprietari delle parti comuni, i singoli condomini non possono esimersi dal pagare le relative spese rinunziando al diritto di comproprietà sulle parti comuni.

L’articolo 1124, che riguarda la manutenzione delle scale, e l’articolo 1125 per i solai, l’articolo 1126 per i lastrici solari di uso esclusivo prevedono un criterio misto, tenendo conto sia del valore millesimale sia dell’uso.

Le problematiche relative alla ripartizione delle spese aumentano se alcune unita’ immobiliari sono date in locazione. Vige in questo senso l’articolo 9 della legge 392/1978 sull’equo canone, fatti salvi i patti in deroga; nell’uno o nell’altro caso vale il principio che l’inquilino e’ tenuto a provvedere alle spese relative alla manutenzione ordinaria ed agli oneri accessori elencati nella suddetta legge del 78.

Modalità di ripartizione. Due sono i metodi per operare la ripartizione delle spese:

  • Preventivo - L’amministratore provvede a calcolare la quota annua a carico di ciascun condomino, in base appunto al preventivo approvato dall’assemblea, dividendola in rate costanti mensili e provvedendo, alla scadenza, alla relativa riscossione.
  • Consuntivo mensile - L’amministratore effettua la ripartizione mensilmente in base alle spese effettuate nel corso del mese, appunto, procedendo immediatamente alla relativa riscossione delle varie quote, le quali varieranno perciò ogni mese.

I due metodi in effetti si equivalgono, in quanto le quote riscosse sono da considerarsi come acconti versati dal condomino e comunque si deve effettuare a fine esercizio la redazione del rendiconto consuntivo.

Ripartizione spese tra inquilino e proprietario

Allorché una unità immobiliare viene concessa in locazione è possibile che sorgano ulteriori problemi a proposito di ripartizione delle spese, in quanto la normativa prevista dall’art.9 della legge 392/78 obbliga il conduttore a sostenere tutte le spese di ordinaria manutenzione (vedi testo e tabella), fatti salvi i patti in deroga tra conduttore e locatore.

9. (Oneri accessori). Sono interamente a carico del conduttore, salvo patto contrario, le spese relative al servizio di pulizia, al funzionamento e all’ordinaria manutenzione dell’ascensore, alla fornitura dell’acqua, dell’energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell’aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine, nonché alla fornitura di altri servizi comuni.

Le spese per il servizio di portineria sono a carico del conduttore nella misura del 90 per cento, salvo che le parti abbiano convenuto una misura inferiore.

Il pagamento deve avvenire entro due mesi dalla richiesta. Prima di effettuare il pagamento il conduttore ha diritto di ottenere l’indicazione specifica delle spese di cui ai commi precedenti con la menzione dei criteri di ripartizione. Il conduttore ha inoltre diritto di prendere visione dei documenti giustificativi delle spese effettuate.

Gli oneri di cui al primo comma addebitati dal locatore al conduttore devono intendersi corrispettivi di prestazioni accessorie a quella di locazione ai sensi e per gli effetti dellart. 12 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

La disposizione di cui al quarto comma non si applica ove i servizi accessori al contratto di locazione forniti siano per loro particolare natura e caratteristiche riferibili a specifica attività imprenditoriale del locatore e configurino oggetto di un autonomo contratto di prestazione dei servizi stessi.

Ma al di là di tutto rimane inconfutabile il fatto che soltanto il proprietario è responsabile nei confronti del condominio per le quote non versate dall’inquilino; ne deriva da ciò che l’amministratore deve proporre il relativo decreto ingiuntivo (art.63 delle disposizioni di attuazione) solo ed unicamente nei confronti del proprietario, che potrà sempre rivalersi nei confronti del conduttore. 

Innovazioni condominiali

Per innovazioni si intendono tutte le opere che modificano completamente o in parte la cosa comune, alterandone la consistenza, la destinazione e, di conseguenza, il godimento da parte dei singoli partecipanti al condominio. La realizzazione di una nuova struttura, ad esempio un nuovo ascensore, prima inesistente, è un’innovazione.

Non sono da considerare innovazioni, ma semplici modifiche, tutte le opere che consistono in una semplice sostituzione di materiali con altri eventualmente più costosi (es. messa in opera di cancello automatico).

1120. (Innovazioni). I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’ art. 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o alluso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni.

Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili alluso o al godimento anche di un solo condomino.

Per deliberare su tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni è necessaria, dunque, la maggioranza qualificata del 5° comma dell’art.1136 c.c. che prevede il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresentino i 2/3 del valore dell’edificio.

Limitazioni. L’art. 1120 c.c. pone al secondo comma delle limitazioni per le quali "sono vietate le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendono talune parti dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino."

Tutte le innovazioni in contrasto con quanto previsto dal codice, sono da considerarsi vietate.

Innovazioni gravose e voluttuarie.

1121. (Innovazioni gravose o voluttuarie). (1) Qualora l’innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio, e consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa.

Se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che la deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.

Nel caso previsto dal primo comma i condomini e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera.

L’art. 1121 c., salvaguardando i diritti dei condomini dissenzienti, prevede che gli stessi siano esonerati dalla spesa quando "l’innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni o all’importanza dell’edificio e, consista in opere impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata..

Se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa."

Pur nella evidenza del disposto legislativo, occorre precisare che la spesa sia da intendersi gravosa, allorquando non vi è alcun rapporto tra la cifra da spendere ed il valore intrinseco o l’importanza dell’edificio, e che si debba considerarsi voluttuaria quell'opera che non procura al condomino un’utilità proporzionale alla spesa sostenuta..

La legge all’ultimo comma dell’art. 1121 prende in considerazione i condomini e i loro eredi o aventi causa i quali, possono tuttavia in qualunque tempo partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera, rimborsando cioè agli altri partecipanti al condominio le spese da loro sostenute anche relativamente al periodo precedente alla loro partecipazione.

Innovazioni speciali.

Per le innovazioni riguardanti alcune materie, ritenute di apprezzabile rilevanza sociale o di grande attualità, il legislatore ha stabilito di derogare all’art. 1120, 1° comma c.c., consentendo all’assemblea di deliberare con maggioranze più ridotte.

La legge n. 13/89, modificata dalla legge n. 62 del 27.2.89, stabilisce che le delibere aventi per oggetto le innovazioni dirette ad eliminare le barriere architettoniche, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e l’installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, possono essere approvate dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’art. 1136, II e III comma c.c.

Qualora il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, tali deliberazioni, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.

La legge n. 122/89 si propone invece di contribuire alla soluzione di un altro grave problema dei nostri tempi: il parcheggio delle autovetture.

L’art. 9 di questa legge consente infatti all’assemblea del condominio di deliberare la realizzazione di parcheggi nel sottosuolo e nei locali del piano terreno degli edifici, quindi delle vere e proprie innovazioni, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal II comma dell’art. 1136 c.c. anziché con quelle usuali stabilite dal V comma della stessa norma.. Resta però fermo quanto disposto dall’art. 1120, II comma e 1121, III comma c.c., sulle innovazioni vietate e su quelle gravose o voluttuarie.

L’art.9 non parla esplicitamente di cortili e giardini ma non sembra dubbio che anche la trasformazione di tali parti comuni in parcheggio possa rientrare nella disposizione in esame.

 

Supercondominio

Disciplina

L’espressione "supercondominio" viene comunemente accolta per indicare il fenomeno, in parte nuovo e sfornito di unadeguata elaborazione giuridica, che si verifica quando più edifici, ciascuno autonomo e a sua volta in regime condominiale o anche in proprietà singola, mantengano tuttavia parti o servizi destinati alluso comune.

Tali parti o servizi comuni necessitano di una gestione unitaria, separata da quella dei singoli edifici; il problema più rilevante che si pone, peraltro, è quello di stabilire se le entità comuni siano assoggettate al regime ordinario della comunione, ovvero a quello del condominio. Le implicazioni pratiche che si collegano alla soluzione del problema sono evidenti, e attengono alla gestione stessa delle cose e dei servizi, al loro uso, alla disciplina dell’assemblea e delle delibere, alla divisibilità e al trasferimento per ricordarne alcune.

Dalla applicazione delle norme sul condominio deriva la conseguenza che i condomini utilizzano la cosa comune come comproprietari e non come titolari di un diritto di servitù. Pertanto i condomini possono realizzare aperture nei muri perimetrali che delimitano il passaggio tra gli edifici per accedervi, nei limiti dellart. 1102 codice civile (Cass. Sez. II, 16 marzo 1993, n. 3102).

Va poi osservato, che una tale situazione può verificarsi sia in seguito allo scioglimento di un condominio preesistente che venga diviso, sia alla costituzione originaria di un complesso che preveda il godimento in comune di alcuni beni.

Indubbiamente la disciplina condominale, che presenta caratteri di specialità rispetto a quella della comunione ordinaria, è preordinata per regolare il fenomeno di edifici divisi per piani sovrapposti, a cui siano in comune le entità indicate dallart. 1117, Codice civile’2. Pertanto, pur nel caso di edificio "unico", ma in cui ciascuna delle parti in proprietà esclusiva non fruisca di enti comuni e possa essere riguardata come funzionalmente autonoma in relazione alle particolarità costruttive, non vè ragione di applicare la disciplina condominiale, mentre non si può escludere che tra loro permangano zone, che, pur essendo comuni, non realizzano una spiccata interdipendenza funzionale e quindi sia sufficiente sottoporle, per una corretta gestione, alle ordinarie regole della comunione.

In altre parole, tali ultime parti comuni non impediscono che gli edifici siano utilizzabili nella misura più completa e nella loro piena autonomia senza necessità di provvedere ad una gestione separata e continuativa di esse.

Detti principi, che escludono l’applicabilità, nei casi indicati, delle norme sul condominio, sono stati invocati nell’ipotesi in cui l’edificio sia diviso in due parti distinte e funzionalmente autonome da un muro interno verticale, dalle fondamenta al tetto, e in comune cada solo il muro divisorio.

La Corte di cassazione, in motivazione della sentenza indicata sub, richiamando del resto un proprio precedente (Cass. 13 maggio 1949, n. 1177), ha osservato, come l’unicità strutturale del fabbricato sia certamente un "elemento sintomatico" ma non determinante per affermare in concreto l’esistenza del condominio, se la divisione verticale in due parti operata dal muro di separazione mette in evidenza due corpi di fabbrica ciascuno godibile senza ulteriori interferenze.

Gli stessi criteri guida sono stati utilizzati per escludere l’esistenza del condominio (e quindi l’applicabilità delle relative presunzioni ex art. 1117, Codice civile ) al caso, che la stessa Corte suprema ritiene essere "un caso limite", dato addirittura dalla parziale compenetrazione di due corpi di fabbricato, ma sforniti di elementi strutturali o di servizi in comune, tanto che i due corpi di fabbrica potevano essere riguardati come indipendenti tra di loro, intendendosi tale indipendenza come "autonomia in senso statico e funzionale" (Cass. Sez. II, 20 ottobre 1984, n. 5315).

Ribadisce, poi, la Corte di cassazione, che, per potersi parlare di autonomia di edifici occorre che il risultato della divisione dia luogo a costruzioni munite di una loro autonomia strutturale (Cass. Sez. II, 7 agosto 1982, 4439), quandanche restino in comune tra gli originari partecipanti alcune delle cose indicate nellart. 1117, Codice civile; si esclude, pertanto, che la semplice autonomia dal punto di vista amministrativo e gestionale possa dar luogo ad edifici autonomi se la separazione del complesso non possa attuarsi senza interferire nella sfera giuridica di altri condomini.

Le osservazioni che precedono consentono di precisare meglio la figura del supercondominio, ove, come si è accennato in apertura, convivono edifici autonomi nel senso sopra indicato, e parti comuni ad essi, in quanto legate da un rapporto di accessorietà necessitata dalla configurazione dei luoghi (androni, passaggi) (Cass. Sez. II, 16 dicembre 1980, n. 6509;Cass. sez.II, 8 agosto 1996,n.n.7286), ovvero risultanti dalla destinazione ad assolvere un servizio comune impressavi dalla volontà dei partecipanti (Cass. Sez. II, 10 novembre 1976, n. 4139); i proprietari, infatti, possono considerare più fabbricati, costituenti un unico corpo ed aventi in comune tetto fognature ed altro, un solo complesso immobiliare predisponendo ed approvando un unica tabella condominale; nulla vieta che l’accorto riguardi solo talune porzioni rimaste in comune dopo la separazione.

Sebbene dunque le norme del condominio trovino di regola applicazione nel caso di edifici divisi per piano, le stesse regole disciplinano anche il caso in cui più edifici contigui, ma autonomi, "abbiano o creino servizi destinati permanentemente ed oggettivamente alluso e al godimento di tutti; il fatto stesso che una o più cose o servizi risultino comuni rispetto ad una pluralità di proprietari rende applicabile la disciplina condominiale (Tribunale Milano Sez. VIII, 24 giugno 1991; Appello Milano Sez. I, 25 settembre 1992).

Fra i singoli edifici deve dunque esistere e permanere una compenetrazione funzionale di parti, tali da determinare una contitolarità necessaria del diritto di proprietà sulle parti comuni in relazione alla specifica funzione di esse di servire per l’utilizzazione e il godimento delle parti dell’edificio o edifici oggetto di proprietà individuale, situazione che si verifica anche se le opere comuni sono strutturalmente distaccate dai singoli edifici (Cass. Sez. II, 16 dicembre 1980, n. 6509).

In tali presupposti, la giurisprudenza ritiene applicabili le norme sul condominio e non quelle sulla comunione ordinaria e, conseguentemente, che si formi per queste cose un ente collettivo di gestione con lo scopo di regolare la formazione della volontà del gruppo e i rapporti interni dei partecipanti.

Il fondamento normativo della disciplina viene individuato negli artt. 61 e 62, disp. att., Codice civile che, prevedendo la possibilità dello scioglimento del condominio quando l’edificio possa essere diviso in parti che abbiano i caratteri degli edifici autonomi, nonché la costituzione di condomini separati consente lo scioglimento anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate nellart. 1117, Codice civile.

In particolare, la formula normativa del primo comma dellart. 62 ("restano in comune fra gli originari partecipanti") allude, da un lato, al fatto che continua ad applicarsi nella nuova situazione nata dallo scioglimento del condominio originario la stessa disciplina giuridica condominiale propria di questo, dall’altro, che i partecipanti all’originario condominio sono anche i partecipanti del nuovo ente destinato a sovrapporsi (supercondominio) ai condomini separati (subcondomini).

Deriva pertanto da tali principi, che lo scioglimento del supercondominio con la divisione delle parti comuni e relative delle singole porzioni ai singoli condomini risultanti, è assoggettato alla norma di cui allart. 1119 codice civile ; è altresì valido il patto contenuto nel regolamento contrattuale, che vieti senza limiti di tempo la divisibilità delle parti comuni, non essendo applicabile l'art.1111 codice civile dettato in tema di comunione. In tal caso si richiede per la divisione il consenso di tutti i condomini (Tribunale Roma, sez. IV, 17 aprile 1997).

In effetti, la ratio che giustifica il permanere della situazione condominale continua ad essere la stessa, e cioè, che le porzioni di piano, i piani, ovvero gli edifici in proprietà singole non possono essere utilizzati o meglio goduti, in difetto delle cose o servizi che permangono necessariamente comuni, o a cui sia impressa la durevole destinazione a soddisfare bisogni comuni.

Sembra anche errata, allora, la terminologia, talvolta adottata, che individua il "supercondominio" in un "condominio tra i condomini", mentre in realtà il condominio delle parti per così dire "intercomuni" trova i propri partecipanti non negli amministratori dei singoli condomini (salve le deleghe che possano essere loro conferite), ma negli stessi proprietari delle porzioni singole (Cass. Sez. II, 5 gennaio 1980, n. 65; Cass. Sez. II, 16 marzo 1981, n. 1440). E stata ritenuta radicalmente nulla la clausola del regolamento contrattuale la quale prevedeva che partecipassero all’assemblea del supercondominio gli amministratori dei singoli condomini, anziché tutti i comproprietari degli edifici, per contrarietà a norme imperative concernenti la composizione e il funzionamento dell’assemblea (Cass. Sez. II, 28 settembre 1994, n. 7894; Appello Milano, 14 novembre 1997, n. 3218); conseguentemente è nulla la delibera che sia stata adottata nella assemblea formata dai soli amministratori, pur se conforme al regolamento, per violazione della norma, inderogabile per legge, di cui allart. 1136, sesto comma, codice civile (Cass. sez.II, 13 giugno 1997, n. 5333). Secondo altra decisione (Tribunale Napoli Sez. X, 12 ottobre 1994, n. 8111), la cui complessa motivazione merita lettura, non solo la previsione contenuta nel regolamento contrattuale circa la partecipazione dell’amministratore del singolo condominio all’assemblea del supercondominio non è inficiata da alcuna nullità, ma l’amministratore può in tal caso partecipare alle riunioni dell’assemblea supercondominiale senza necessità di approvazione da parte dell’assemblea del condominio di riferimento. Sorgono peraltro problemi in ordine ai poteri di rappresentanza che l’amministratore può esercitare nella detta assemblea, in quanto l’amministratore è pur sempre mandatario degli amministrati e non potrebbe creare dei vincoli a loro carico senza una espressa delega. Secondo la decisione riferita, l’amministratore potrebbe partecipare all’assemblea supercondominiale senza delega solo nei limiti in cui gli argomenti da trattare rientrassero nelle attribuzioni conferite dalla legge ex art. 1130 Codice civile , ma la stessa decisione non solo esclude che il potere dell’amministratore si estenda sino ad approvare delibere che comportino oneri di spesa, ma solleva dubbi sugli stessi poteri di rappresentanza, allorché la decisione riguardi il miglior godimento delle entità supercondominiali (la cui disciplina è fuori dai suoi poteri). In definitiva, anche ove la partecipazione dell’amministratore alle assemblee supercondominiali sia previsto dal regolamento contrattuale, appare assai problematico stabilire i limiti entro i quali il medesimo possa validamente obbligare i propri condomini. Si afferma ancora nella motivazione della sentenza in esame, che permane nei singoli condomini il diritto di impugnare le delibere assunte in violazione dei loro diritti, in quanto la volontà espressa dall’amministratore non sia conforme alla delega conferita.

In applicazione del principio per cui i partecipanti del supercondominio non sono i complessi condominiali che lo costituiscono ("lotti"), ma pur sempre i singoli condomini, e salva diversa regolamentazione regolamentare, si è affermato che, per verificare la regolare costituzione dell’assemblea e la validità delle delibere del supercondominio, deve riconoscersi a ciascun condominio il diritto di votare in ragione dei millesimi di proprietà che competono al bene esclusivo.Appare d’altra parte pacifico, che l’assemblea la quale sia chiamata a deliberare su beni e servizi comuni del supercondominio sia formata da tutti i condomini che ne fanno parte e trovino applicazione le disposizioni dellart.1136 codice civile in ordine alla convocazione, costituzione, formazione e calcolo delle maggioranze; deve conseguentemente dichiararsi la nullità della deliberazione relativa alla divisione del servizio di portierato e al licenziamento del portiere assunta dalla assemblea formata dai condomini di un solo fabbricato, mentre il servizio era comune anche ad altro edificio facente parte del complesso i cui condomini non erano stati convocati (Cass. set.II, 8 agosto 1996, n. 7286). Per procedere alla determinazione dei millesimi (che esprimono la misura della partecipazione dei singoli alle cose comuni supercondominiali), occorre preventivamente stabilire quale sia la partecipazione di ciascun "lotto" (cioè singolo condominio) alle spese comuni supercondominiali, (fatto uguale a mille il valore complessivo delle cose e dei servizi comuni supercondominiali), quindi all’interno dei singoli lotti determinare proporzionalmente il valore delle singole proprietà (Tribunale Monza 25 maggio 1991 nel caso esaminato dalla sentenza il supercondominio era formato da cinque lotti; al lotto A erano assegnati al fine di ripartire le spese 300 millesimi, al lotto B 150, al lotto C 200, al D 210, al lotto E 120, al lotto "Centrale" 20; il Tribunale ha stabilito che i millesimi da assegnare ai singoli ai fini della partecipazione in assemblea debbano essere proporzionati al valore millesimale di ciascun lotto; quindi, per il lotto A, il valore della proprietà individuale deve essere rapportato a 300, per il lotto B a 150 e così via).

La presunzione legale di comproprietà stabilita dallart. 1117, Codice civile è applicabile per analogia anche quando non trattasi di parti comuni di edificio diviso per piani, bensì di parti comuni di edifici limitrofi, aventi le caratteristiche di edifici autonomi ma destinati permanentemente alla conservazione e alluso degli edifici stessi (Tribunale Catania, 25 gennaio 1982).

Il principio ha avuto applicazione in tema di androni, cortili, pozzi di luce che trovansi tra edifici strutturalmente autonomi e appartenenti a proprietari diversi e siano obiettivamente e attualmente destinati a dare aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano (Cass. Sez. II, 29 maggio 1978, n. 2309); portoni e scale, precisandosi che la presunzione di comunione può essere vinta dalle risultanze del titolo.

Va però osservato, che se nell’ambito di un supercondominio, i boxes e i loro viali di accesso appartengono a proprietari dei diversi edifici, non si può senz’altro presumere che di detti viali di accesso siano di proprietà comune a tutti i partecipanti del comprensorio, dovendosi invece presumere fino a prova contraria, che dette entità appartengano alla comunione tra i proprietari dei boxes; di conseguenza, l’amministratore del supercondominio non è legittimato ad agire per ottenere che i viali di accesso rimangano sgombri di veicoli (fra l’altro nella specie, boxes e rispettivi accessi erano posti nel sottosuolo, mentre il supercondominio comprendeva solo parti in superficie) (Tribunale Milano Sez. VIII, 27 giugno 1988, n. 6096).

La suprema Corte, infine, riconoscendo che se un impianto di riscaldamento è posto al servizio di più edifici, legittimamente occorre far riferimento ai principi che regolano il condominio, e non la comunione ordinaria, per disciplinare la fattispecie, ha affermato, che, di conseguenza, il patto di in divisione contenuto nel regolamento contrattuale è pienamente valido e non incontra il limite di tempo previsto nel massimo di 10 anni per la comunione ordinaria (art. 1111, secondo comma, Codice civile ); altre volte, invece, ha affermato, che, quando un complesso residenziale composto da più palazzine singolarmente erette in regime condominiale disponga di manufatti e spazi in godimento comune, questi si devono ritenere soggetti alla disciplina della comunione e non del condominio ai fini della nomina di un amministratore dei beni comuni (Cass. Sez. II, 20 giugno 1989, n. 2923).

Va ancora rilevato che non assume nessuna rilevanza giuridica lo scioglimento di fatto di condominio complesso; pertanto, prima dello scioglimento, gli interessino di cui siano portatori i condomini che aspirano alla divisione devono trovare sfogo in sede di assemblea condominale ed eventualmente in sede giuridica a seguito all’impugnazione di delibera che abbia leso taluni interessi a scapito di altri (Tribunale Roma, 2 giugno 1980).

La giurisprudenza, nel ribadire che le norme relative al condominio si applicano anche al caso di più edifici autonomi e di diversa proprietà che mantengano in comune porzioni o servizi, ha affermato che il singolo condomino non può, staccandosi dall’impianto di riscaldamento centralizzato, sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese della sua conservazione (Tribunale Milano Sez. VIII, 21 marzo 1991, n. 2222).

Quanto alla organizzazione interna del supercondominio, deve considerarsi perfettamente legittima la nomina di consiglieri del condominio complesso anche se tale carica non è prevista dal regolamento, in quanto la istituzione di un organo utile e per di più non comportante oneri rappresenta esercizio legittimo della discrezionalità dell’assemblea condominiale (Tribunale Milano Sez. VIII, 6 aprile 1992).

Ovviamente, i partecipanti al supercondominio devono nominare un amministratore che assicuri la gestione delle cose comuni e al quale soltanto compete di pretendere il pagamento dei contributi relativi alla gestione(Cass. Sez. II, 4 maggio 1993, n. 5160)ione della centrale termica del supercondominio. Se un condomino, opponendosi a decreto ingiuntivo relativo alle spese di centrale termica facente capo ad un supercondominio, eccepisca il difetto di legittimazione attiva dell'amministratore del proprio condominio, non ha la necessità di integrare il contraddittorio con l’amministratore del supercondominio (Cass. Sez. II, 29 settembre 1994, n. 7946).

All’amministratore delle parti comuni di un supercondominio spettano tutte le facoltà inerenti a tale gestione, tra cui la legittimazione ad agire in giudizio senza necessità di delibera assembleare nei casi in cui tale potere è riconosciuto all’amministratore del condominio, e di pretendere la consegna dei libri contabili dal precedente amministratore (Tribunale Roma Sez. III, 4 luglio 1994, n. 10405).